Sebbene oggi il tracciato della Via Annia Popilia interessi solo per una modica frazione del proprio percorso il territorio della Basilicata, storicamente vi percorreva un tragitto molto più lungo, quando il Vallo di Diano e il Cilento erano parte della Lucania storica e, di più, ne costituivano forse anche il nucleo primigenio.
Il tratto oggi lucano della Via è di uno di quelli che più ha mostrato difficoltà d’individuazione puntuale. Basti pensare alle difficoltà oggettive nel collocare con precisione anche le sue stationes principali, Caesariana e Nerulum; e se per la prima si può affermare con ragionevole certezza archeologica, storica e documentaria, la coincidenza con il nucleo antico di Lagonegro, della seconda, da sempre oggetto delle più svariate collocazioni, è stato risultato notevole circoscriverne l’ubicazione al territorio di Castelluccio Inferiore, dove alla tradizionale collocazione di Sarra Santa Gada le successive emergenze archeologiche fanno oggi preferire la statio di Vigna della Corte.
La ricerca sul campo, unita alle emergenze della fotografia aerea e all’attenta ricognizione delle fonti documentarie ha in ogni caso consentito la puntuale ricostruzione dell’antico tracciato; resa più agevole, in questo, dall’evidenza fisica di alcuni passaggi obbligati, di natura puntuale come più ampia: la perdurante scarsa antropizzazione, oggi come in epoca romana, delle pendici occidentali del Monte Pollino, l’evidente vis attractiva del valico di Campotenese, la necessità, oggi come allora, di evitare pendenze troppo acclivi nello scorrere tra un nodo montuoso e l’altro, si pensi al percorso dalle falde sud del Monte Sirino al gruppo Monte Zaccana - La Spina.
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Così come l’occhio umano vede con più facilità ciò che la mente sta già cercando, così la ricostruibilità del percorso nelle sue grandi linee ha facilitato la sua individuazione fisica anche dove tradizione ed epigrafia ne avevano smarrito la memoria. Perché, dell’Annia Popilia, va rimarcata un’altra caratteristica: la persistenza nel tempo. Nel tratto lucano è comune, lungo il suo percorso o nelle aree immediatamente adiacenti, trovare tracce romane dal III secolo avanti Cristo al IV dell’era cristiana; con datazioni, in alcuni punti, che spaziano dall’uno all’altro di questi estremi temporali, a riprova dell’uso plurisecolare e ininterrotto del percorso; e poi, senza soluzione di continuità o quasi, i segni dell’utilizzo dall’Alto Medioevo all’attualità.
L’analisi dei ritrovamenti ha restituito un’immagine sociale ed economica del territorio meridionale lucano attraversato dalla via molto più articolata di quanto le fonti classiche potessero fare ritenere. Non solo lo sfruttamento delle risorse locali (acqua, legno, argilla), ma la loro trasformazione in prodotti finiti e in una scala che, in rapporto all’epoca, non può definirsi solo artigianale. La produzione di laterizi come di ceramica è attestata in più punti, e si mostra perdurante nel tempo e attraverso gli stili. E questi punti sono, anche questo è sintomatico di un rilievo commerciale che andava ben oltre l’autoconsumo locale, lungo l’asse viario; laddove i diverticoli dell’asse principale mostrano le tracce delle vie d’approvvigionamento della materia prima. Non solo laterizi e ceramica, peraltro. Sono numerose, in rapporto allo sviluppo dell’Annia Popilia nel territorio oggi lucano, le presenze di aziende agricole, alcune decisamente cospicue in relazione all’areale ed ai cultivar che, oggi come allora, consente; né mancano i siti cultuali, a riprova di un’antropizzazione che andava oltre le necessità del supporto al traffico a più lunga percorrenza.
Un’ulteriore riprova del livello di sviluppo commerciale della zona, che le ricerche sul campo mostrano più attiva di quanto certa tradizione vorrebbe, è nella generale transitabilità del percorso per i carri a traino animale, al contrario di zone della Calabria dove storicamente il trasporto terrestre ha incontrato la concorrenza di quello via mare, laddove l’Annia Popilia diviene un asse pedonale, sia pure più ampio e ben tenuto della rete di sentieri locali.
Un asse viario che anche dopo il declino di Roma mostra la logicità del tracciato e la sua funzionalità al territorio, con selciati ed opere d’arte anche di periodo successivo, dall’alto Medioevo in poi, e l’affiancarsi quando non il sovrapporsi alla viabilità attuale.
Un percorso, dunque, che anche in Lucania è uno spaccato di oltre due millenni di storia e di vita di un territorio. Una vita che, allo sguardo attento, mostra segni inattesi di continuità di costume e di persistenza delle tradizioni: dal matrimonio tra alberi che oggi come allora avviene sul Pollino per poi scendere nei centri abitati, ai culti miracolistici del Medioevo cristiano in cui riecheggiano le antiche mitologie locali dell’età classica e financo del substrato pre romano.
Possiamo quindi affermare l’importanza non solo storica, ma anche di perdurante influsso sulla vita dei luoghi, anche del tratto lucano dell’Annia Popilia.
Il tutto a volte riscoperto, sempre sistematizzato con un’operazione culturale multidisciplinare non fine a sé stessa.
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L’avere identificato una serie pressoché ininterrotta di giacimenti culturali (archeologici, di tradizione socio culturale, economici, epigrafici e documentari; financo gastronomici!) fa sì che gli stessi, come i singoli grani di una collana, formino un insieme di pregio, idoneo a costituire non solo il cemento dell’identità di un territorio, ma anche una multiforme opportunità di sviluppo e di crescita. Uno, dieci, cento attrattori, anche piccoli se singolarmente presi, formano un bacino culturale da valorizzare.
Ed ecco che l’Annia Popilia cessa di essere solo il filo che lega il passato e il presente delle terre e delle genti che attraversa, per divenire anche una traccia di crescita da proiettare nel loro futuro.
Solo così si coglie sino in fondo il we serve lionistico sotteso al progetto; storie e identità riscoperte e diffuse, non solo come dato culturale in sé, quanto anche come germoglio di un futuro migliore.
Clemente Delli Colli
(Lions Club Potenza Duomo)